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Storie d’autogestione e d’anarchia – 4 giorni a Torino, estate 2007

lunedì, Gennaio 26th, 2009


Abbiamo ricevuto notizie dell’iniziativa in preparazione a Torino, e ci stiamo chiedendo da
qualche giorno come, quando e perchè partecipare. Penso siano
domande cui è interessante rispondere, per comprendere lo
slancio con cui ti proietti in un’iniziativa. Pensavamo di cominciare
a correre per tempo, dal momento che -dice il saggio- non ha senso
cominciare improvvisamente a correre a bomba.

La corsa, che è diversa
dalla passeggiata, attiva e mette in moto endorfine e risveglia
cellule cerebrali altrimenti sopite. In molte occasioni ci siamo
trovati a sbadigliare dalla noia, e non c’e’ nemico interno peggiore
di quello – la noia, manifestazione del nostro sentirci impotenti,
non in grado di tirare fuori una parte di noi – la reazione che
desideriamo corrisponde alla sostituzione della noia di un passo
mediocre con l’eccitazione di una corsa a pieni giri

Leggendo la presentazione
dell’iniziativa mi è venuto un po’ un coccolone alla
proposizione di “workshop, seminari, stage, o come cazzo li si
vuole chiamare”, genericamente varie attività pomeridiane:
a me personalmente non frega un
cazzo delle “varie attività pomeridiane” indipendentemente
da come le si chiama.

non vengo a torino per farmi di
workshop/seminari/stage di qualche tipo… ma per provare a
intrecciare legami che ci portino ad organizzarci insieme, ad
esempio… un’officina per andarci a riparare una macchina,
una distilleria per fare grappe,
una cantina per il vino,
un qualche
luogo/nonluogo/laboratorio X che continua nel tempo e non sia legato
a una logica esclusivamente temporanea…

penso che dobbiamo dotarci si delle
conoscenze, ma che queste viaggiano solo insieme alle pratiche;
dotarci della capacità /
volontà / possibilità di realizzare quelle che
altrimenti rimangono solo idee, e mai riescono ad assumere
concretezza.

Per dotarci di queste pratiche sono
necessari incontri / scontri / riflessioni in cui siamo disposti a
mettere tutto quel che ci riguarda sul tavolo, in discussione
– credo sia l’unica faccenda sugosa.
Mettere tutto in discussione
significa anche mettersi in testa di affrontare questo tutto non
in maniera separata… portare avanti insieme un’idea, (forse
ne basta una sola?), a cui tendiamo insieme con
un ventaglio di pratiche; ad esempio autogestione e
autoproduzione mi paiono solo riferimenti un po’ astratti e
sfuggenti… forse, dovendo usare dei termini, mi piacerebbe riuscire
a pensare e praticare varie forme di (auto)organizzazione. Spero che
durante i quattro giorni le idee sui vari percorsi diventino più
chiare –

Quelli che vedo come laboratori,
persistenti o temporanei, sono i luoghi o i non luoghi che riusciamo
a creare – sono la socializzazione di esperienze, nella teoria, nella
pratica.
Quando c’è qualcosa da
comunicare, farlo – allestire un banchetto, prepararsi in qualsiasi
modo si ritiene opportuno per contribuire in modo utile a
un’iniziativa.

Riuscire a sganciarsi da una
prospettiva immediata, riuscire nei 3 giorni a scambiarci idee,
emozioni, rabbie che durino per almeno 3 mesi –a parte la teoria
del 3
(?!?)- secondo me ha senso per non trovarsi nella triste
condizione di vedere in ogni iniziativa un inizio e una fine ben
definiti.

Per costruire un qualcosa che
perdura nel tempo, a cui sia possibile agganciarsi in qualsiasi
momento, servono relazioni, e per costruire relazioni occorre
tempo – La disponibilità di questo tempo gioca un ruolo
principale. Il voler spendere il proprio tempo insieme segna una
differenza. Con chi siamo disposti a spendere il nostro tempo?

Se serve a qualcosa vedersi, serve
ad esempio a ipotizzare e poi sperimentare (il che vuole dire
attuare) pratiche di sottrazione dai meccanismi più radicati
del sistema – il fatto che ognuno “se la sfanghi da solo” non
sposterà mai neanche di un millimetro il problema ed è
la fregatura più colossale pensare di affrontare
individualmente problemi che sono comuni.

mi ero un attimo perso, rileggendo
cerco di riprendere il filo – in questi quattro giorni a torino
secondo me una pratica che mi piacerebbe condividere con tutti è
quella di attrezzare il posto per tutte le esigenze che si
manifesteranno a partire dal magnare e dal bere. Non ci piace ad
esempio l’idea che ci sia un gruppo che si occupi della cucina perchè
non ci piace l’idea che qualcuno pensi a come 100 persone possano
riempirsi la pancia in modo gradevole… è o non è la
cosa di base su cui qualunque gruppo deve mettersi d’accordo perchè
tutti a un certo punto avranno fame e che può anche risultare
piacevole come socializzazione? Da questo punto di vista agli
incontri del CIR, cui abbiamo partecipato, la condivisione della
cucina è stato l’aspetto di autoorganizzazione affrontato nel
modo più sensato e credibile che abbiamo visto. In incontri di
70 persone non c’è mai stato da fare spesa, non c’è mai
stato nessun “gruppo cucina”, si è sempre magnato e bevuto
bene.

organizzare un incontro sul tema
autogestione / autoorganizzazione ha come conseguenza pratica che
ognuno si attivi a modo suo “portando ciò che vorrebbe
trovare” e per questo occorre già da ora organizzarsi un
minimo per evitare di trovarci sommersi da tonnellate di farina –
se poi manca il sale… sarebbe buono che, usando i potenti mezzi
che la tecnologia ci offre, ad esempio la posta elettronica,
riuscissimo a metterci d’accordo sulle cose da portare a torino – E
questo riguarda solo una parte pratica, che è comunque
interessante ed utile da mettere in gioco.

Per il resto anticipo che
preferirei minor programmazione su quello che accadrà nelle
giornate e nelle serate – se c’è chi vuole suonare è
molto facile organizzarsi per farlo – è capitato in mille
occasioni di partecipare a serate con gruppi che arrivano, montano un
impiantino, suonano, poi smontano per lasciare il palco a un altro
gruppo che monta un nuovo impiantino, suona, poi smonta –
generalmente alla fine dei 4000 concerti a tamburo battente l’ultimo
gruppo si porta via i suoi strumenti -batteria, chitarra,
basso- e rimane un palco vuoto – poi inizia Tormento-DJ “per tutta
la notte”
… cazzo un pochino di spontaneità
la vogliamo lasciar emergere?

Anche perchè se c’è
una cosa di cui l’organizzazione diventa fastidiosa è
proprio l’aspetto ludico, la festa –

mi viene in mente una discussione
alla fiera dell’autogestione a Libera quest’aprile in cui si parlava
dell’autoproduzione musicale. Il gruppo che mi è piaciuto di
più era un gruppo napoletano che come distribuzione non aveva
nulla che c’entrasse con la musica, per scelta. L’autoproduzione di
CD e cassette e l’idea di diffondere musica registrata cozza
abbastanza malamente con l’idea di suonare insieme per esprimere
qualcosa –
rinunciamo alle carrellate di
concerti con 3 o 4 gruppi che suonano la stessa serata uno dopo
l’altro.

Creiamo insieme le condizioni
perchè ognuno si senta di suonare – estirpiamo l’ idea di un
palco e della “scaletta” musicale, condividiamo (con cura – se
un rullante si rompe, non esiste che “sono cazzi miei” e del mio
rullante) strumenti e passioni insieme e qualche nota salta fuori…
magari un po’ stonata, del resto così è nato il punk…

Queste sono prime idee che ci
vengono in mente, aspettiamo qualche intervento per approfondire o
mettere altra carnazza al fuoco…

Ciao